Teorie che ti prendono in ostaggio

Coco

Sul monumento di Anne Frank ad Amsterdam è comparsa la scritta Gaza. La sindaca della città, Femke Halsema, ha dichiarato su Instagram: «La profanazione di questa preziosa statua non ha aiutato nessun palestinese».

Comincia così l’editoriale di Riss, pubblicato online su Charlie Hebdo alcuni giorni fa. Se parliamo di Charlie Hebdo, la nostra mente torna al 7 gennaio del 2015, quando due uomini armati fecero irruzione nella sede del settimanale satirico, a Parigi, si presentarono come membri di Ansar al-Sharia (sostanzialmente Al-Qaeda in Yemen), spararono per 1 minuto e 49 secondi, uccisero dodici persone e ne ferirono undici. La redazione storica di Charlie Hebdo venne decimata.

Laurent Sourisseau, che si firma Riss ed era condirettore, venne colpito da un proiettile al braccio destro e rimase a terra con la faccia schiacciata sul pavimento, convinto che per lui fosse finita. Si salvò, e da quel giorno prese le redini della testata. Oggi vive sotto scorta permanente, e nel 2019 ha raccontato tutto in un libro intitolato appunto 1 minuto e 49 secondi.

Nella versione online di Charlie Hebdo, Riss firma un editoriale dedicato a un fatto di cronaca avvenuto alcuni giorni fa e di cui ho ragionato la volta scorsa: la scritta Gaza sul monumento di Anne Frank ad Amsterdam, in Merwedeplein, proprio davanti all’edificio dove si trovava l’abitazione della sua famiglia.

La relazione tra civiltà ebraica e Charlie Hebdo è rimasta sottotraccia nei mesi successivi all’attentato ma nel tempo è uscita, un po’ per volta. La prima a parlarne era stata Corinne Rey, detta Coco, in un docufilm distribuito da Netflix che s’intitolava Je suis Charlie e purtroppo non è più disponibile sulla piattaforma. Raccoglieva le testimonianze dei sopravvissuti a poche settimane dai fatti, e raccontava la storia delle vittime.

 

Coco

Coco in quel filmato diceva una cosa un po’ inedita, ossia che Charlie Hebdo non era stato attaccato solo perché pubblicava vignette che sbeffeggiavano apertamente alcuni aspetti dell’Islam, ma anche perché la sua redazione e la sua storia erano costellate da ebrei. Coco aggiungeva che di questo argomento i sopravvissuti preferivano parlare poco, e ancor meno pubblicamente: temevano che quelle loro riflessioni venissero distorte e diffuse in maniera superficiale. Non volevano aggiungere altro odio in direzione opposta all’odio che già si era ampiamente scatenato contro di loro, e soprattutto non volevano arrivare al culmine del paradosso per un giornale satirico: venire difesi proprio da quei razzisti islamofobi che Charlie Hebdo settimanalmente prendeva a pesci in faccia.

Ma altri pensieri ingrigivano la mente di Corinne Rey, che cominciava a fare i conti con la propria vicenda e coi propri sensi di colpa. Era contro di lei per prima che i terroristi avevano puntato le armi, mentre usciva dalla redazione per una boccata d’aria con un’amica. Era lei che era stata costretta a tornare sui propri passi, a digitare il codice per entrare nella sede protetta di Charlie Hebdo (nei mesi precedenti la testata era stata minacciata ripetutamente). Coco si era salvata, aveva sentito gli spari nascondendosi in una stanza, era stata risparmiata dalla fretta degli attentatori o dal fatto (pare) che i due avevano preferibilmente mirato agli uomini e non alle donne, o da entrambe le cose.

Ci vollero per lei alcuni anni, nei quali ripercorrere e rivedere nella mente ogni giorno quella scena, gli amici di sempre uccisi, la redazione, che lei considerava come una seconda casa, distrutta. E domandarsi se non avessi aperto, oppure se fossi fuggita, ma anche se li avessi lasciati lì, se avessi composto il codice sbagliandolo apposta e poi fossi riuscita a dare l’allarme… Coco non riusciva a fare pace con se stessa, e con l’idea di non essere colpevole, no, ma corresponsabile sì. In fondo gli ho aperto io, ripeteva.

Gli scrittori fanno i conti con la propria storia scegliendo le parole. Una disegnatrice e fumettista fa gli stessi conti tracciando i balloon, e così fece Coco: prese carta e matite, i suoi acquerelli sgargianti, e si mise a ricordare, a disegnare cosa provava, cosa sentiva. E disegnava se stessa inerme e nuda, di fronte a un mare minaccioso e in burrasca, a onde troppo alte per essere cavalcate. Disegnava se stessa travolta, sconfitta, arresa, e quelle onde diventavano i volti incappucciati dei fratelli Saïd e Chérif Kouachi, i due attentatori islamisti.

Quella sua impresa, quel suo viaggio nel dolore personale, divenne un volume di grandi dimensioni, bello anche solo da maneggiare e con una copertina di carta morbida e gommata. S’intitola Dessiner encore e lo hanno pubblicato le Éditions Les Arènes. Non esiste in italiano, ma anche se non si conosce bene il francese si comprende tutto, da dentro. C’è un passaggio del libro che ai tempi mi colpì.

La felicità è peggio. Come vivere adesso senza sentirmi in colpa per essere viva?

Coco scrive parole del tutto simili a quelle che spesso hanno lasciato i testimoni della Shoah. Molti fra loro hanno vissuto la propria sopravvivenza come una colpa rispetto a chi invece era rimasto per sempre nei lager. Come se il destino, e non i nazisti, avesse dovuto scegliere una quota stabilita, una proporzione, che per ogni salvato ci fossero tanti sommersi.

Coco scrive la stessa cosa in un luogo diverso e in un tempo differente: la sopravvivenza non rappresenta una felicità piena, quando non è condivisa con amici e conoscenti.

La figlia di Coco, nata dopo il 7 gennaio 2015, fu per Corinne la sua seconda salvezza. Nel primo volume di didattica della Memoria che ho scritto per Erickson, Tu sei Memoria, ritorno su quel brano perché le parole di Coco ispirano alcune mie riflessioni.

 

Wolinski e Cabu

Come continua l’editoriale di Riss?

Negli ultimi anni i monumenti hanno avuto diversi guai. Negli Stati Uniti, quello del generale Lee a Charlottesville è stato smantellato, così come altri che onoravano i leader confederati, difensori della schiavitù. In Francia, il monumento di Colbert davanti all’Assemblea nazionale è stato imbrattato perché il ministro di Luigi XIV aveva scritto il Codice nero che regolamentava il trattamento degli schiavi nelle colonie. E Anne Frank? Ha combattuto a fianco dei sudisti? Ha scritto lei il Code noir? Si è arricchita con la tratta degli schiavi? Lei è ebrea, fu arrestata dai nazisti, morì nel 1945 nel campo di Bergen-Belsen all’età di 15 anni.

Tra i suoi compagni d’avventura nella redazione di Charlie Hebdo, ebreo era anche Georges David Wolinski, nato in Tunisia da padre polacco e da madre italiana, entrambi ebrei. In Italia avevamo conosciuto tanti suoi disegni e vignette anche grazie a Linus.

Jean Maurice Jules Cabut, detto Cabu, aveva invece fatto i conti con la Memoria della Francia, dedicando una serie di disegni alla cosiddetta “retata del velodromo d’inverno”, il poderoso rastrellamento nazista contro gli ebrei francesi, avvenuto tra il 16 e 17 luglio 1942. I disegni di Cabu erano stati raccolti, e due anni fa sono diventati un libro, La Rafle du Vel d’hiv, e una mostra omonima ospitata dal Memorial della Shoah di Parigi. Si tratta di un’opera molto forte e purtroppo postuma, dove un disegnatore d’esperienza sembra lasciarsi andare del tutto, senza trucchi e senza rimorsi. Cabu non c’è più, ma resta il suo rapporto con la memoria personale e collettiva.

 

Charb

E poi c’era Charb, che era il primo nome nell’elenco dei terroristi. Era lui che volevano prima degli altri, e il suo nome lo urlarono nelle orecchie a Coco quando la costrinsero ad aprire la porta blindata.

Portaci da Charb!

Stéphane Charbonnier detto Charb era il direttore di Charlie Hebdo, e teneva rubriche pungenti e acidissime qui e là. Ma non solo: aveva creato Quotillion, il personaggio mascotte di Mon Quotidien, il quotidiano per ragazzi francesi diventato un riferimento in Europa.

In quei giorni di gennaio, Mon quotidien fece qualcosa di impensabile, che ha segnato la storia dell’editoria francese per ragazzi: uscì con una edizione speciale per raccontare tutto, l’attentato terroristico, le vignette, la libertà dei giornalisti, l’orrore del terrorismo. Raccontare tutto ai propri giovani lettori, alle proprie giovani lettrici. Lo fece anche per ricordare l’amico Charb, che collaborava con le sue vignette ironiche e dolci. E che era stato ucciso.

A Bayeux in Normandia c’è un memoriale che ricorda i giornalisti uccisi proprio perché giornalisti, mentre svolgevano il proprio lavoro: un sentiero in un giardino è punteggiato di stele che riportano decine di nomi. Quelli delle vittime di Charlie Hebdo sono stati inseriti in una cerimonia a loro dedicata, alla presenza di Riss. Molti, tanti monumenti alla memoria hanno lo stesso mood.

 

«Teorie che ti prendono in ostaggio»

Tornando a Riss, su Charlie Hebdo continua così.

Per molti attivisti filo-palestinesi, la nascita di Israele nel 1948 fu la conseguenza della Shoah. […] Teorie di questo genere ti prendono letteralmente in ostaggio: scegli da che parte stare, amico. È Anne Frank o i palestinesi. I palestinesi o Anne Frank. Il ragionamento è proprio in sintonia con questi tempi. La radicalizzazione del dibattito pubblico è diventata la regola. Il compromesso e le sfumature sono sospetti. La complessità degli eventi storici viene spazzata via dalle necessità più impellenti delle idee che difendi. È la vittoria oppure la morte. Nessuna via di mezzo. Una scritta spray sulla statua di una ragazza ebrea di 15 anni morta durante le deportazioni può essere celebrata come una gloriosa azione militante.

 

Fai la nanna, piccolo antisemita

Un nuovo studio firmato da Loren Frank (Università della California, San Francisco) e Kamran Diba (University of Michigan Medical School di Ann Arbor), dimostra come l’assenza di sonno ostacoli la memoria a lungo termine. La sintesi delle ricerche compiute dai due neuroscienziati spiega che, nei ratti sottoposti ai loro test, un segnale cerebrale cruciale legato alla memoria a lungo termine “s’increspa” quando si è privati ​​del sonno. Ossia, in sintesi: il sonno scarso interrompe la formazione della memoria.

Chissà se vale anche per la memoria della Shoah. Sapevamo da Goya che el sueño de la razón produce monstruos, ma per la scienza anche la mancanza di sueño qualche danno lo fa, e ora è anche dimostrato. Vuoi vedere che l’antisemitismo lo si combatte con letti più comodi? Vuoi vedere che bastava qualche pennichella in più per intaccare la xenofobia? Fai dormire meglio un razzista, e quello al mattino sarà un angioletto.

O forse, purtroppo, il metodo funziona solo col cervello dei topi, che meglio si adatta alla complessità del mondo.

Come si chiude l’editoriale di Riss?

Il modo in cui difendiamo una causa è parte stessa della causa. La onora o la contamina. Povera Anne Frank, poveri palestinesi.