Lampadine sopra il letto

EllieKendrick

Scrivo da Amsterdam, dove mi trovo con un gruppo di ragazzi e ragazze di una scuola italiana. Siamo sulle tracce di Anne Frank. Perché ne ha lasciate, eccome. E continua a lasciarne.

In questo post ci saranno ragazze, lampadine e lettere, soprattutto.

Ieri camminavo per una strada del centro e mi sono fermato a leggere una particolare pietra d’inciampo. Ad Amsterdam ce ne sono moltissime. Sono circa 80.000 gli ebrei cittadini che erano stati deportati e assassinati dai nazisti: le cosiddette pietre riportano spesso la data di morte e il luogo, e là accanto ai miei piedi leggevo soprattutto Sobibor e Auschwitz.

Sulla pietra, sulla pietra che ho scelto ieri tra le tante, c’era scritto Amsterdam e la dicitura non era Vermoord, ossia assassinato, ma Ontmoedigd onder druk bezweken. Significa più o meno Scoraggiato, crollò per le pressioni.

Scoraggiato, crollò per le pressioni. Nella sua città. Non sappiamo come. Ma la pietra e la storia non lo considerano affatto ciò che noi leggiamo tra le righe. Per la pietra, anch’esso è un omicidio nazista. Solo, sotto altre forme.

 

Billie

La prima ragazza si chiama Billie Boullet (classe 2005, nata a Londra ma cresciuta a Parigi), è attrice e ha firmato pochi giorni fa per Man on fire, che interpreterà insieme a Yahya Abdul-Mateen II. Il suo volto non ci è nuovo perché l’abbiamo vista nella miniserie A small light, prodotta da NatGeo, distribuita in Italia da Disney+ e dedicata a Miep Gies che aiutò la famiglia Frank a rimanere nascosta per più di due anni, durante l’occupazione nazista di Amsterdam. Billie, in quella serie, è Anne Frank.

Cosa significa la piccola luce del titolo? È forse il coraggio di Miep Gies, che provava a salvare la famiglia dei suoi amici dalla deportazione? È la speranza di Otto Frank, che mantiene lucidità quando tutto crolla? O quella piccola luce è la stessa Anne? Una luce che va protetta e tenuta accesa, finché si può. Già, ma fino a quando si può?

Billie Boullet, nonostante interpreti il simbolo assoluto fra le vittime della Shoah, compare tutto sommato poco nel corso della miniserie, che segue invece i pensieri e le azioni di Miep Gies. Ma anche in quel poco lei è Anne, dà corpo e voce ad Anne.

Non è la prima, e non sarà l’ultima sul piccolo e grande schermo, come si diceva una volta. Nel 1959 toccò all’indimenticabile Millie Perkins (The Diary of Anne Frank), nel 1967 a Diana Davila (The Diary of Anne Frank), e Hannah Taylor Gordon nel 2001 (nella miniserie Anne Frank: The Whole Story), e più recentemente Lea van Acken (Das Tagebuch der Anne Frank, 2016) e Aiko Beemsterboer (Mijn beste vriendin Anne Frank, 2021).

Nel 2009 la BBC produsse un film a puntate dedicato ad Anne. Lo girarono nei luoghi originali, e fu una specie di sorpresa. Prima dell’avvento del digitale, portare una crew cinematografica in quelle stanze anguste era un’impresa ardua. Anne Frank era interpretata dall’attrice inglese Ellie Kendrick. Al momento, resta ancora la mia preferita. Ha un non so che di naturale quando veste i panni di Anne, quando guarda le persone intorno a sé, e si avvicina più di ogni altra all’idea che Anne fosse una ragazza coi suoi pensieri, le sue smorfie, la sua luce.

Poi Ellie Kendrick andò a fare Meera Reed in Games of Thrones e oggi tutti la ricordano così. Ma per me è ancora Anne, la migliore Anne Frank sul set.

 

Judith

In un pomeriggio del 1949, Judith Jones aveva venticinque anni e stava scrivendo lettere di rifiuto per manoscritti nella sede di Doubleday, a Parigi, quando l’occhio le cadde su un volume sepolto nel mucchio di scartoffie. Il libro aveva una ragazza in copertina, era il diario di una ebrea tedesca e la sua pubblicazione era prevista in Francia.

Judith aprì il libro e lo studiò: si trattava del diario di una ragazza che aveva trascorso due anni in una soffitta di Amsterdam prima di venire scoperta, arrestata, deportata e uccisa in un lager nazista. La voce dell’autrice era unica. Si chiamava Anne Frank. A Judith si accese una lampadina nella testa.

Doubleday pubblicò la versione americana del diario col titolo Anne Frank: The Diary of a Young Girl, ma solo perché Judith Jones aveva intuito tutto, attivato la redazione in USA e caldeggiato la cosa. Era il 1952 e il libro divenne un fenomeno improvviso, subito soprannominato un classico dal New York Times.

Di questo e di altro si parla in The Editor: How Publishing Legend Judith Jones Shaped Culture in America, ma a noi interessa soprattutto il ruolo indispensabile (e fino a poco tempo fa dimenticato) di Jones nella pubblicazione di uno dei libri fondamentali del Novecento.

 

Censure, distorsioni, interpretazioni

Rebecka Fallenkvist, ex presentatrice del canale Riks e membro del Sverigedemokraterna, partito svedese populista di destra, già nota per dichiarazioni eccessive, ha pubblicato su Instagram una foto del Diario di Anne Frank commentandola così: «Dopo 50 pagine, finora Anne Frank mi è sembrata solo immorale». Questa volta era troppo perfino per il suo partito, che l’ha sospesa.


Lo scorso anno, Roger Waters (ex bassista dei Pink Floyd) ha proiettato il nome di Anne Frank sui grandi ledwall che sovrastavano il palco del suo tour, insieme ai nomi di altre ragazze che nella storia sono state vittime di violenza, discriminazione, razzismo. Molti, ricordo, avevano criticato Waters perché nella serie di nomi compariva anche anche Shireen Abu Akleh, la giornalista di Al Jazeera uccisa da forze militari israeliane a Jenin, in Cisgiordania. L’indagine ONU aveva appurato che non vi fosse intenzionalità, ma che il colpo mortale fosse comunque partito da israeliani. Per i detrattori di Waters, associare Anne e Shireen significava parificare i morti nella Shoah ai civili palestinesi uccisi nel decennale conflitto con Israele.

Quelli di Anne e di Shireen erano solo due tra i molti nomi proiettati nel live, ma non escludo che l’idea di Roger Waters fosse proprio quella di associare lo sterminio degli ebrei alla situazione palestinese. Nello stesso live, Waters si travestiva “da nazista” (in un altro blocco dello show) e la notizia era diventata un’unica polpetta indigesta.

A ben guardare, però, la figura di Anne Frank non veniva denigrata, e il travestimento di Waters non era da nazista, ma riecheggiava la violenza di un regime inventato, rifacendosi ai travestimenti di The Wall. In questi due casi me la sento di salvare l’anima al Roger artista. In un altro caso, invece, ossia quando fece ricoprire un enorme maiale gonfiabile di simboli che lui considera negativi e tra quelli mise ben evidente una stella di Davide, sono certo che Waters avesse perso la bussola della sua linea (criticare l’attuale politica di Israele, cosa più che legittima e perfino condivisibile) per sfociare in palese antisemitismo.


Un distretto scolastico del Texas ha ritirato il Diario di Anne Frank dopo la denuncia di un gruppo di destra, rimuovendo altri 675 libri insieme a quello. Avete letto bene: 675 libri, più il Diario.

Gruppi di attivisti conservatori, poco folti ma molto rumorosi, tra i quali Citizens Defending Freedom e Moms For Liberty, hanno chiesto a gran voce la rimozione dei libri sulla Shoah dalle biblioteche scolastiche, ma anche di testi sull’antisemitismo, e naturalmente tanti testi dai contenuti “sessuali”. La motivazione della loro azione è semplice: sono libri “sessualmente molto espliciti” e “sporchi e malvagi”. I gruppi hanno minacciato di partecipare alle riunioni dei consigli scolastici e di leggere ad alta voce alcuni brani tratti dai libri se le loro richieste non fossero state soddisfatte.

Ora, fatemi capire: un gruppo che si chiama “cittadini che difendono la libertà” si batte per eliminare centinaia di libri, e minaccia di leggere in pubblico proprio i libri che considera dannosi. Forse c’è qualcosa nell’acqua, in Texas.

«Stiamo difendendo i nostri figli perché vogliamo proteggerli da questi libri estremamente volgari e offensivi», dice uno dei leader degli attivisti. Forse anche io sono dunque volgare e offensivo, qui ad Amsterdam per accompagnare un gruppo di minorenni sulle tracce di Anne Frank.

L’elenco dei libri offensivi proviene da BookLooks, un sito web che valuta i libri in base alla loro “adeguatezza” su una scala di cinque punti. Tra le opere delle quali si condanna la presenza nelle biblioteche scolastiche, ci sono Maus di Spiegelman, La scelta di Sophie di Styron (da cui il celebre film), il DVD di Schindler’s List di Spielberg, e l’adattamento grafico del Diario a firma di Ari Folman.


Anche il regista Ari Folman, autore di quella perla preziosa che era Valzer con Bashir, ha preso Anne Frank per raccontare a suo modo una realtà attuale, e in particolare quella dell’Europa poco accogliente e solidale, e per lanciare un messaggio di condivisione, dignità, tolleranza. Lo aveva fatto con Where Is Anne Frank (in italiano, Anna Frank e il diario segreto).


Nota a margine: ogni volta che qualcuno scrive Anna Frank, un ebraista muore. Da dove viene questa usanza tutta italiana? In questo caso da Natalia Ginzburg, che aveva fatto davvero tanto per la pubblicazione del Diario, ma aveva anche suggerito di scrivere “Anna” al posto di “Anne”. In una sua lettera a Luciano Foà lo spiegava esplicitamente: “Anne è francese”. Era il 1954 e il Diario fu pubblicato in Italia proprio quell’anno. Anche questo fa parte dell’interpretazione, e in nome della libertà, quella forse più autentica, portiamo pazienza.

 

Le mani su Anne Frank

Povera Anne Frank. Prima ci si mette la censura in USA, poi la giudicano volgare in Svezia. Poi la interpretano come gli pare. Ma interpretarla come gli pare non fa in fondo parte del gioco dei simboli? Anne è diventata un simbolo, e l’arte si nutre di simboli, e non solo di simboli artistici.

Il rapporto artistico con il passato e con la memoria è sempre controverso. Waters e Folman sembrano fare due operazioni opposte ma non sono in fondo la stessa faccia della medaglia? Prendono Anne per la giacca e la mettono a sedere accanto alla loro idea, al loro messaggio. Fino a trasformare Anne stessa nel loro messaggio.

L’arte ha un impatto sulla cultura e sull’opinione pubblica ben più forte di qualsiasi saggio storico, e va a finire che ci preoccupano più le interpretazioni spericolate di Waters del libro di un qualsiasi negazionista. Perché sappiamo che le prime girano ovunque, mentre le seconde sono spesso ristrette a clubbini di repressi rasati a zero.

Se usassimo sull’arte lo stesso metro di giudizio che i “difensori della libertà texani” (ma non è bellissimo questo nome?) applicano alle biblioteche, negheremmo l’interpretazione artistica per dare spazio solo alle ricerche degli storici. E naturalmente solo degli storici che ci piacciono.

 

«Un capitolo di una storia molto più grande»

Pochi giorni fa è stato il ventesimo compleanno di Naama Levy, una ragazza israeliana presa in ostaggio il 7 ottobre dai terroristi di Hamas. Il video del suo rapimento, a piedi nudi e insanguinata, è una delle immagini più violente di quel giorno. Sua madre, la dottoressa Ayelet Shachar, le ha scritto una lettera nel giorno del suo compleanno.

C’è un compleanno. C’è una ragazza di cui non si conosce la sorte. C’è una fila di pensieri messi in forma di lettera. Spedita a chissà chi. Al mondo. A se stessi. Se è valido avvicinare Anne Frank a chi ti pare, io oggi la avvicino a questa persona.


Cara Naama,

[…] Mia piccola Naama, ti parlo nel mio cuore ogni giorno. Mi senti? Quando chiudo gli occhi, ti vedo davanti a me sorridere. Mi vedi? Ogni giorno mi siedo con i miei pensieri e sono sopraffatta da un dolore che non riesco a dire. E oggi quel dolore è ancora più forte. Dovresti festeggiare il tuo compleanno ridendo con gli amici, spegnendo le candeline con i tuoi due fratelli e tua sorella, abbracciando me e tuo padre. Dovresti festeggiare a casa. […] Naama, nel giorno del tuo compleanno, il mio desiderio più profondo è che il dolore di questi ultimi mesi diventi solo un capitolo di una storia molto più grande, una storia piena di così tanti momenti luminosi da sconfiggere questo periodo di oscurità. Il mio desiderio è stringerti proprio come ho fatto per la prima volta in questo giorno, 20 anni fa, e prometterti che andrà tutto bene.


Ricordo la pietra d’inciampo vista ieri nella strada di Amsterdam. Scoraggiata, la mamma di Naama non crolla per le pressioni.

 

Anne e Etty. Frank e Hillesum

Quando nel 2015 lavorai con Dafna Fiano alla nuova edizione italiana del Diario di Anne Frank, m’imbattei in un passaggio particolare.

«Cara Kitty, oggi ti racconterò le novità generali della Casa sul retro. Sopra il mio divano-letto è stata messa una lucina, così di notte quando sento gli spari posso tirare una cordicella».

È un paragrafo firmato da Anne il 21 settembre del 1942. Quella lucina era il suo desiderio di illuminare i volti nella notte, e rimase un desiderio perché il coprifuoco imponeva di tenerla spenta. Quella lucina, anche se spenta, e quelle parole ci mostrano oggi il volto di Anne: scoraggiata, non crollò per le pressioni.

Decisi quindi di segnalare in nota una coincidenza del pensiero. Ricordavo un passaggio di Etty Hillesum nel quale nominava una lucina anch’essa, da mettere sopra il letto. Lo sono andato a ricercare, e l’ho trovato. È una missiva per Maria Tuinzing scritta dal lager di transito di Westerbork l’11 agosto del 1943 (Lettere, traduzione di Chiara Passanti, Tina Montone e Ada Vigliani – Adelphi). Diceva così:

«In futuro, quando non abiterò più su una branda di ferro in una terra circondata dal filo spinato, voglio avere una lampadina sopra il mio letto, così di notte intorno a me ci sarà luce ogni volta che lo vorrò».

Fare Memoria ad Amsterdam. Cinque ragazze. Tre pensieri. Due lampadine diverse che due ragazze nella stessa città, senza essersi mai conosciute o incontrate, senza aver mai condiviso una sola parola prima di quella lampadina, accendono. E a distanza di tanti anni illuminano tutte coloro che sono scoraggiate, crollate. Si accendono per la giovane Naama, per chi piange per le guerre e per chi le raccontava come Shireen. E forse anche per noi.